La comunicazione non verbale ai tempi del Covid-19

Abbiamo chiesto ad alcuni specialisti e nostri collaboratori dell'Accademia di Belle Arti e Design - Poliarte il loro parere su alcuni temi di attualità per offrirvi un quadro generale e dei consigli utili per affrontare questo periodo di incertezza. 

Il pensiero di Giovannella Giorgetti, Conselour, Docente e Trainer nelle Scuole di Counseling, Supervisore attestato da Assocounseling. Consulente Grafodinamico e Consulente Sessuologico IRF, svolge attività privata sulla comunicazione efficace, specie in ambito familiare e di coppia. Un excursus sull'evoluzione della comunicazione in tempo di cambiamenti con un focus sulla comunicazione non verbale in questa situazione di emergenza.

La comunicazione non verbale ai tempi del Covid-19

 

 

Questo periodo storico sarà ricordato come "Il tempo del Coronavirus” determinando una sostanziale differenziazione tra il pre e il post evento, che ha fatto esplodere e implodere tutto ciò che si era dato per scontato. 

Tutte le generazioni che vivono questa emergenza non saranno mai più le stesse e saranno forse solo i bambini, almeno sotto una certa età, che troveranno una società differente in molte sue organizzazioni.

Nel corso del tempo ciò che ha caratterizzato i cambiamenti è la modalità di comunicazione.

Partendo dal primo assioma della Scuola di Palo Alto, non si può non comunicare, possiamo riflettere su una componente importante della comunicazione, quella non verbale.

Se il contenuto verbale rappresenta la parte digitale, razionale, consapevole della comunicazione, il non verbale è quella analogica, emotiva, non sempre consapevole. Gestualità, postura, sguardo, ma anche abbigliamento e modo di presentarsi, partono dal proprio stato emotivo e raggiungono quello dell’altro, in un dialogo interno e profondo che esprime il mondo complesso dell’umanità. 

In questa situazione di emergenza, cambia la nostra comunicazione non verbale, che assume ancor più significato. All’interno delle mura domestiche, nell’interazione quotidiana, esprime più che le parole il nostro stato d’animo. Se utilizziamo i dispositivi per contattare l’esterno familiare e amicale, è possibile vedersi, anche se in una situazione meno autentica, poiché ci si muove come davanti ad una macchina da presa e ciò può togliere spontaneità all’incontro. Se poi spostiamo la nostra attenzione fuori dalla cerchia familiare, nel limitato mondo oltre le mura domestiche, ci si rende conto dei cambiamenti in atto avvenuti in pochi mesi. Uscire indossando i dispositivi di protezione, comunica già ciò che stiamo vivendo, nella continua ricerca di protezione per noi e gli altri. L’incontro, anche di pochi istanti, deve fare i conti con il concetto di pericolosità, un modo di pensare che si oppone alla dimensione sociale, propria dell’essere umano. Lo sguardo diventa protagonista delle rare interazioni,  esso parla di noi e raggiunge l’altro, spesso come unica modalità di contatto emotivo. Si parla con gli occhi nei luoghi  del quotidiano e anche in quelli della difficoltà e della sofferenza, nelle strutture per gli anziani, negli ospedali, dove è necessario porre il proprio nome sulle tute protettive per essere riconosciuti  e quelle stesse mascherine o tute, a volte si colorano con un disegno, una frase, una parola per esprimere qualcosa in più di sé, nell’incontro. In ogni periodo di crisi, accanto alla drammaticità, emerge l’opportunità di una crescita consapevole, come sempre accade dopo esperienze di digiuno e privazione

Non sprecare ciò che è prezioso e della cui mancanza stiamo facendo umana, sofferta, utile conoscenza. 

 

Giovannella Giorgetti