Abbiamo chiesto ad alcuni specialisti e nostri collaboratori dell'Accademia di Belle Arti e Design - Poliarte il loro parere su alcuni temi di attualità per offrirvi un quadro generale e dei consigli utili per affrontare questo periodo di incertezza.
Marco Grilli, coordinatore dei corsi serali a indirizzo socio-sanitario nelll’IIS Podesti-C. Onesti di Ancona presso cui insegna Psicologia, docente a contratto di Sociologia presso corsi di laurea di area medica nelle Università di Bologna e di Roma Sapienza e di Metodologie della comunicazione presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, ci parla dei nuovi modi di relazionarsi offrendoci dei consigli su come muoverci in questi nuovi spazi.
Ci sono incontri, sempre. Spezziamo fili e li ricongiungiamo, come neuroni continuamente in cerca di contatti. A volte simili a un volo, assolutamente slegati, eppure reti invisibili trattengono le nostre ali, o sostengono, nel vuoto, corpi sospesi. Su questo ponte di vetro ci incontriamo come maschere veneziane, difficilmente nella “nudità del volto”, comunque soli.
L’incontro è ineludibile, così come “non si può non comunicare”, e “ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione”. Le relazioni assumono configurazioni sociali diversificate, costituiscono tentativi di definire il mondo all’interno di un orizzonte di senso condiviso: si tratta di una continua impresa di costruzione collettiva, dove l’incontro con l’altro è sempre un evento rischioso, un abisso verso cui sporgersi, alla ricerca delle radici più intime della nostra umanità, come in uno specchio.
In questo processo ci impegniamo a mantenere le giuste distanze; gli spazi prossemici che siamo disposti a sostenere rispettano regole comportamentali precise, dalla misura “pubblica” di alcuni metri a quella “intima”, la più invasiva, commisurate alla tipologia di relazione e di rischio che accettiamo di giocare; cosicché spesso ci appoggiamo a delle protesi che rendano meno carnale questo contatto, fino alle più recenti tecnologie, i mezzi elettrici ed elettronici, con l’effetto di svincolare progressivamente la comunicazione dalla fisicità dei corpi, per coinvolgere un numero sempre maggiore di persone con la sincronia della velocità della luce.
Queste modalità tuttavia implicano anche il rischio di allontanarci fisicamente dall’altro, isolati come hikikomori in stanze virtuali, per essere connessi con il villaggio globale, ma assolutamente disconnessi rispetto al prossimo.
E un accidente imprevisto, improvviso arriva oggi a esaltare questa dimensione comunicativa virtuale, rendendola quasi l’unica forma accessibile, distanziando i corpi tra loro, fino al punto che l’altro rappresenta una potenziale minaccia, viene osservato con una diffidenza nuova, quasi fosse un virus egli stesso, da esorcizzare attraverso sistemi di riconoscimento e di immunizzazione pubblica, non più secondo criteriologie discriminanti di appartenenza etnica, o basate su condizioni personali di status, di livello economico o culturale. Anche le distanze vengono standardizzate: almeno un metro o un metro e mezzo dall'altro (o forse due o più), rivelandosi, per inciso, anche tutta l’umana falsificabilità delle parole della scienza; l’altro generalizzato paradossalmente diventa cifra di un processo di desocializzazione che esprime una situazione di livellamento e allo stesso tempo contiene un potenziale effetto collaterale virtuoso: l’opportunità di tornare a coltivare la nostra umanità più profonda, attraverso il desiderio, la nostalgia, di una comunicazione reale, fatta di relazioni, di mani che toccano mani, corpi che si guardano. E si riconoscono.